CAPITOLO XLII
STORIA GRADEVOLE DEL VETTURINO, CON ALTRI AVVENIMENTI SUCCESSI NELL'OSTERIA.
Io son nocchiero d'Amore, e nel profondo suo pelago navigo senza speranza d'afferrar mai nessun porto.
Vo seguitando una stella che da lontano mi splende più bella e più rilucente di quante ne vide mai Palinuro.
Ignoro dov'ella mi guidi; e così navigo confuso coll'anima tutta in lei sola, né d'altro pensiero occupata.
Importuni riguardi e non usata onestà sono le nubi nelle quali s'avvolge allorché mi sforzo di affissarmi in lei.
O Chiara, brillante stella, il cui raggio mi consuma, il punto in cui tu sarai velata al mio sguardo, sarà il punto della mia morte!
Quando il cantore arrivò a questo passo, parve a Dorotea che fosse mal fatto che Chiara ancora non godesse di sì bella voce, e perciò scuotendola la chiamò dicendo: - Perdonami, o giovinetta, se ti risveglio, ma desidero che tu pure gusti di una voce tanto soave, quale non avrai forse più udita." Chiara svegliossi, ma sonnacchiosa ancora non intese ciò che Dorotea le dicesse, e tornando a domandarglielo ella ripeté il già detto. Chiara cominciò allora a starsene attenta; ma non ebbe appena uditi due versi, che la colse un tremito sì grande come se la quartana l'avesse assalita, anzi abbracciando strettamente Dorotea le disse:
- Deh! mia buona ed amorosa signora, perché mai mi avete svegliata? Il maggior bene che la fortuna potesse farmi per ora si era di tenermi chiusi gli occhi e l'udito per non veder né sentire questo sventurato cantore!
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