Quando mai in fatti è avvenuto che un cavaliere errante pagasse dazio, gabella, tassa, porto o tragitto? o polizza al sarto? o scotto al padrone del castello dov'egli alloggiasse? qual re si rifiutò mai di averlo seco alla mensa? Quale si è quella donzella che non siasi affezionata a lui? e finalmente qual cavaliere errante fu, è, o sarà mai al mondo cui manchi l'animo per dare egli solo quattrocento bastonate a quattrocento sgherri cui saltasse in capo di offenderlo?
Tali cose dicea don Chisciotte; e il curato frattanto attendeva a persuadere la sbirraglia ch'egli era un vero pazzo, di che ne erano prove le opere e le parole; e che in conseguenza desistessero dalla impresa, perché se pure lo avessero arrestato, bisognava poi rimetterlo in libertà a titolo di pazzia. Ma colui che teneva l'ordine dell'arresto, rispose che non erano eglino i giudici competenti della pazzia di don Chisciotte, e ch'era suo preciso dovere di eseguire i comandi dei superiori arrestandolo; salvo poi a chi spetta, di rimetterlo in libertà.
- Va bene tutto questo, rispose il curato ma ora nol dovete arrestare, né si lascerà egli prendere per quanto lo creda. In sostanza tanto seppe dire il curato, e tante pazzie fece don Chisciotte che sarebbero stati più di lui pazzi gli sgherri a non valutare le sue follie. In conseguenza credettero miglior consiglio di rappacificarsi con lui, e di farsi eziandio mediatori della pace fra il barbiere e Sancio Pancia, che stavano tuttavia in accanita baruffa. Gli sgherri dunque, come membri della giustizia, composero la lite all'amichevole per modo che ognuna delle parti ne rimase se non contenta, soddisfatta in parte almeno, ordinando che si cambiassero le bardelle e non le cinghie né le cavezze; quanto poi all'elmo di Mambrino, il curato sottomano e senza che don Chisciotte se ne avvedesse, diede al barbiere otto reali, e n'ebbe la ricevuta colle solite dichiarazioni a reciproca ed eterna cauzione.
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