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      Passarono tutti questi colloqui tra padrone e servitore; e temendo don Fernando e Cardenio che Sancio non colpisse nel segno rispetto alla loro invenzione, di cui lo vedevano già entrato in sospetto, determinarono di affrettare la partenza. Chiamando perciò a parte l'oste, gl'imposero che insellasse Ronzinante e mettesse la bardella al giumento di Sancio, il che egli tosto eseguì. Aveva frattanto il curato patteggiato cogli sgherri perché accompagnassero don Chisciotte sino alla sua terra, contribuendo loro un tanto per giorno. Cardenio attaccò da un lato dell'arcione della sella di Ronzinante la targa e dall'altro il bacino, poi con cenni comandò a Sancio che montasse sul suo asino, e che prendesse Ronzinante per la briglia, e collocò ai due lati del carro due sgherri coi loro archibusi. Prima che il carro si movesse uscirono fuori l'ostessa, sua figlia e Maritorna, per prender licenza da don Chisciotte, fingendo di piangere per compassione della sua disgrazia. Egli disse loro:
      - Non piangete, no, mie buone signore, che tutte queste avversità sono così consuete alla professione ch'io esercito: e se non mi accadessero tante traversie non porterei il vanto di famoso cavaliere errante, perché ai cavalieri di poco conto e di poca celebrità non avvengono di simiglianti sciagure, non essendovi al mondo chi mai li rammenti: sono riservate ai valorosi, come a coloro che sono invidiati da molti principi e da tanti cavalieri che tentano nuocere ai meritevoli con i mezzi più indiretti e maligni.


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Don Chisciotte della Mancia
di Miguel de Cervantes Saavedra
Edoardo Perino
1888 pagine 1298

   





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