- Io pure, riprese a dire il canonico, ebbi qualche tentazione di comporre un libro di cavalleria con tutte le avvertenze dette pocanzi; e se ho a dirvi il vero ne ho anche scritto oltre cento carte: e per conoscere se l'effetto corrispondesse alla mia opinione, le ho comunicate a persone amanti di tali letture, dotte e sensate, ed eziandio ad ignoranti che si dilettano di sentire spropositi e rodomontate, ed ho conseguito da tutti un'approvazione pienissima. Ad onta di ciò non ho proseguito la mia opera, sì perché parvemi tutta aliena dalla mia professione, sì per avere sperimentato che il numero degli scimuniti sormonta quello dei prudenti, ed è poi più aggradevole il conseguire lode dai pochi che sanno, che non beffe dai molti che non sanno; non voglio però sottomettermi all'incerto giudizio del volgo leggero ch'è per la gran parte formato dei leggitori di opere di questa fatta. Quello poi che mi fece dimettere assolutamente il pensiero di condurre a termine il mio lavoro fu un ragionamento che feci meco medesimo, nato dalle commedie che oggidì si rappresentano, e dissi: Se quelle che ora sono in pregio, tanto le fantastiche quanto le tratte dalla storia, sono per la maggior parte un ammasso di spropositi e cose senza capo e senza coda, e nondimeno il volgo le gusta e le approva come buone: se gli autori che le compongono, e i recitanti che le mettono in pubblico, sostengono che così dee farsi, perché così e non altrimenti le brama il volgo; e se quelle nelle quali si ammira una ragionata condotta, conforme l'arte prescrive, piacciono solo ad alquanti intelligenti, mentre gli altri tutti non si trovano al caso di conoscerne l'intrinseco merito; in conseguenza di tutto ciò anche il mio libro verrebbe considerato una superfluità dopo che mi sarei bruciate le ciglia per attenermi ai riferiti precetti, e avrei gettato tempo e fatica.
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