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      Io ho osservato, o mio signore, che il povero resta inabile a poter palesare la virtù della liberalità con chicchesia: benché egli la possegga in grado eminente. Quella gratitudine che consiste nel solo desiderio è cosa morta; e questa è la ragione per cui io vorrei che la fortuna mi presentasse senza indugio qualche opportunità di poter diventare un imperatore, poiché io mostrerei il mio animo beneficando gli amici. Allora sì, ch'io avrei specialmente a cuore questo poveretto di Sancio Pancia mio scudiere, ch'è il più buon uomo del mondo, e a cui io vorrei regalare una contea, che gli ho promessa da molto tempo, benché qualche volta io dubiti ch'egli sia per essere poi da tanto da governare il suo nuovo Stato."
      Udì Sancio queste ultime parole del suo padrone, e gli disse: "Procuri pure vossignoria, signor don Chisciotte, di regalarmi questa contea tante volte da lei promessa quante da me desiderata, e posso assicurarla che mi trovo capacissimo a governarla: e quando anche nol fossi, ho sentito a dire che vi sono degli uomini i quali prendono in appalto gli Stati dei gran signori, pagandone un tanto all'anno, e si danno la briga di governare essi, e frattanto se ne sta il padrone a panciolle godendo la rendita senza pigliarsi pure un fastidio. Io mi regolerò a questo modo, né guarderò le cose per lo minuto, ed anzi, preso ch'io abbia il governo, comincierò dall'abbandonarlo un poco per volta, finché poi lo rinuncerò affatto per godermi le mie entrate come un duca, e ci pensi chi ci vuol pensare.


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Don Chisciotte della Mancia
di Miguel de Cervantes Saavedra
Edoardo Perino
1888 pagine 1298

   





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