Ricordo quello che disse il nostro valoroso poeta castigliano:
«Per questi aspri sentieri si va alla sede dell'eternità, d'onde, chi una volta vi arriva, non declina mai più.»
- Ahi! meschina di me, disse la nipote, che il mio signore e poeta, sa di ogni cosa e di ogni cosa s'intende. Possa io morire se non sa fabbricare una casa come una gabbia, sol che si metta in testa di voler esercitare l'arte di muratore.
- Io ti assicuro, nipote, rispose don Chisciotte, che se questi pensieri cavallereschi non occupassero tutti i miei sensi, non vi sarebbe cosa che da me non si facesse, né bizzarra manifattura che non uscisse dalle mie mani, e massimamente gabbie e stuzzicadenti.»
La povera serva era rimasta a bocca aperta, udendo la lunga tiritera di don Chisciotte.
In questo picchiarono alla porta, e domandandosi chi era, rispose Sancio Pancia: «Son io.» Appena la serva l'ebbe conosciuto, che andò a rimpiattarsi per non vederlo: a tal segno era da lei abborrito! Gli aprì la porta la nipote, ed egli andò incontro a braccia aperte al suo padrone don Chisciotte, che con lui si chiuse in camera dove seguì fra loro un altro colloquio di non minore importanza di quello già riferito.
CAPITOLO VII
DI CIÒ CHE SEGUÌ TRA DON CHISCIOTTE ED IL SUO SCUDIERE, CON ALTRI FAMOSISSIMI AVVENIMENTI.
Appena la serva ebbe veduto Sancio in conferenza segreta con don Chisciotte, e subito s'immaginò che dalla loro consulta dovesse venire la determinazione di fare una terza uscita in campagna. Si racconciò dunque un poco, e copertasi del suo velo la testa andò in traccia del baccelliere Sansone Carrasco, sembrandole che per esser buono parlatore ed amico recente del suo padrone, potrebbe riuscire a distorlo da così strano sproposito.
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