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      Soggiungo una cosa ancora e non più, ed è che l'autore ha lasciato scritto che nell'amicizia erano queste bestie da compararsi a Niso ed Eurialo, a Pilade ed Oreste: e se ciò è vero, resta luogo ad osservare con istupore, quanto stabile dovette essere la colleganza dei due pacifici animali, a confusione degli uomini che tanto male si conducono gli uni con gli altri. Non v'è amico per l'amico, e le canne si cambiano in lance.
      Né sembri a taluno che l'autore abbia deviato dal diritto sentiero paragonando l'amicizia di quelle due bestie con l'amicizia degli uomini; perché gli uomini hanno appreso dalle bestie molti e molto importanti insegnamenti; come sarebbe a dire dalle cicogne il cristere, dai cani la gratitudine, dalle grue la vigilanza, dalle formiche la provvidenza, dagli elefanti l'onestà, e la lealtà dal cavallo.
      Finalmente Sancio si addormentò sotto un sughero, e don Chisciotte se ne stette sonniferando disotto d'un'altissima quercia. Breve intervallo di tempo era scorso quando don Chisciotte fu desto da un rumore che udì dietro a sé, e levandosi impaurito e postosi ad ascoltare ed a vedere di dove procedesse, scoprì che erano due uomini a cavallo, uno dei quali abbandonando la sella, diceva all'altro:
      - Smonta, amico, e leva il freno ai cavalli, che a parer mio, qui trovasi abbondevolmente dell'erba pel loro pascolo, e qui sono la solitudine ed il silenzio che abbisognano agli amorosi miei pensamenti.»
      Il proferir queste parole ed il distendersi sulla terra fu tutto uno; ma nell'atto che si coricava, le armi che aveva indosso fecero rumore: dal che don Chisciotte argomentò che dovesse essere un qualche cavaliere errante.


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Don Chisciotte della Mancia
di Miguel de Cervantes Saavedra
Edoardo Perino
1888 pagine 1298

   





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