E don Lorenzo diè principio alla recitazione dei seguenti versi
VERSI.
Se 'l mio fu tornasse all'è
Senz'attendere il sarà
O venisse il tempo già
Di quel ch'essere pur dè!
GLOSA.
Come tutto fugge viaFuggì ancor quel ben che un giorno
Mi donò sorte non ria;
Né più a me fece ritornoMolto o poco il ben di pria.
O Fortuna, tu mi vediGià da secoli a' tuoi piedi;
Deh mi rendi al primo stato!
Oh! quant'io sarei beatoSe 'l mio fu tornasse all'è.
Altra gioia ed altra gloriaI' non vo'; né coglier tento
Altra palma, altra vittoria,
Fuor che riedere al contentoDi cui m'ange la memoria.
Se, Fortuna, m'addurrai
A quel ben ch'io già provai
Temperando il tuo rigore,
Godrò allor del tuo favore
Senz'attendere il sarà.
GLOSA.
Ah! pur troppo già m'avvedo;
L'impossibile ti chiedo!
Corre il tempo, e vola e va,
Né mai più ritornerà.
E follìa sarebbe il votoChe restasse il tempo immoto
O venisse il tempo già.
Viver sempre in dubbia sorteFra speranza e fra timore
Ognun sa ch'è un'altra morte;
Ben fa dunque chi sen muoreE al dolor chiude le porte
Util fora assai per meIl finir... ma no, non è,
Se ragione il ver m'addita,
Mentre il cor dubbioso sta,
Il timor mi tiene in vita;
Di quel ch'essere potrà.
Terminata da don Lorenzo la glosa, si alzò don Chisciotte e con voce tanto sonora che pareva un urlo, presolo per la destra mano, gli disse:
- Vivano i cieli contornati di stelle, garzon generoso, che voi siete il miglior poeta dell'orbe, e meritate la laurea non già in Cipri o in Gaeta, come disse un poeta, cui Dio perdoni, ma nelle accademie di Atene, se oggigiorno vi fossero, o in quelle che sussistono in Parigi, in Bologna e in Salamanca.
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