Erano oltre a cinquanta i cuochi, e tutti netti come candidi armellini, tutti diligenti e festosi tutti.
Nel dilatato ventre di un vitello stavano riposti dodici piccioli porchetti che servivano a dargli sapore e tenerezza. Le spezierie di varie sorti non parevano comperate a libbre, ma a botti, e stavano tutte riposte in ampi cassoni. Finalmente l'apparato era bensì rustico, ma così abbondante che avrebbe potuto bastare per un esercito.
Sancio Pancia adocchiava ogni cosa, e a tutto si affezionava. Sulle prime restò imprigionato e vinto dalle pignatte, dalle quali avrebbe di buona voglia staccato un pignattino; la volontà passeggiava poi su que' otri, né era ritenuto rispetto alle paste nelle padelle, se però poteansi chiamar padelle quell'enormi caldaie.
Non potendo più resistere, né stando in lui di fare altrimenti, si accostò ad uno di quei tanti affaccendati cuochi, e con cortesi ed affamate espressioni pregollo che gli concedesse di poter intingere un tozzo di pane in una di quelle pignatte.
Al che il cuoco rispose:
- Fratello, in questo giorno la fame non passeggia da queste bande, grazie al ricco Camaccio; accostatevi pure allegramente, e guardate là che troverete qualche mestola, e schiumatevi pure una gallina o due, che buon pro vi faccia.
- Non ne vedo nemmeno una, rispose Sancio.
- Aspettate, disse il cuoco: oh poveraccio me! che schizzinoso e dappoco uomo che dovete essere!»
E ciò detto, prese una caldaia, e postala in uno di quei mezzi orci, ne cavò due paperi e tre galline, e disse a Sancio:
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Pancia Camaccio Sancio Sancio
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