In fronte e ai quattro lati del castello stava scritto: Castello di buona guardia; e vi stavano d'intorno quattro valenti suonatori di tamburino e di flauto. Cupido cominciava la danza, e fatte due mutanze, alzava gli occhi e drizzava l'arco contro una donzella che ponevasi tra i merli del castello, ed alla quale egli diceva:
«Son io il Nume onnipossente nell'aria, sulla terra, nel profondo del mare, e su tutto quello che l'abisso racchiude in orribili bolge.
«Cosa ignota m'è la paura; e posso tutto quello che io voglio, quand'anche mi venisse talento dell'impossibile. In tutto ciò poi che possibile è, io aggiungo o levo, comando o proibisco.»
Terminata la canzoncina egli scoccò una freccia all'alto del castello, e si ritirò al suo posto. Uscì poi Interesse e fece altre due mutanze: tacquero i tamburini, ed egli disse:
«Io son colui che posso più dell'Amore; pur è l'amor che mi guida. Io appartengo alla migliore schiatta che il Cielo mantenga sulla terra, alla più nota e più illustre.
«Io son l'Interesse: per me pochi tra gli uomini operano virtuosamente; ed operar senza me sarebbe un gran miracolo: ma qual ch'io sono mi consacro a te, per sempre.»
Si ritirò Interesse e si avanzò Poesia, la quale dopo avere danzato a foggia degli altri, posti gli occhi sulla donzella del castello, disse:
«In dolcissime parole e in eletti pensieri gravi e spiritosi, la Poesia ti manda, o mia Donna, la sua anima ravvolta in mille sonetti.
«Se la mia servitù non ti spiace, la tua sorte invidiata da molte altre donne sarà portata da me al disopra della luna.
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