Tornando ora a don Chisciotte della Mancia, soggiungo che dopo essere uscito dall'osteria, stabilì di vedere le belle sponde dell'Ebro e tutti quei contorni, avanti di entrare nella città di Saragozza, avendo opportunità ed agio a farlo per essere tuttavia lontano il tempo in cui doveano seguire le giostre.
Con tale divisamento proseguì il suo viaggio, nel quale occupò due giorni, senza che gli accadesse cosa degna di essere memorata; e nel terzo, allo scoprire di una spiaggia, udì gran rumore di tamburi, di trombe e di spari d'archibugi. Diessi a credere sul principio che derivasse questo rumore da qualche passaggio di compagnie militari per quella parte, e perciò, spronando Ronzinante, salì all'alto di quella spiaggia.
Quando pervenne sulla eminenza scorse ai piedi, per quanto almeno gliene parve, più di dugento uomini armati con differenti maniere d'armi, come a dire lancioni, balestre, partigiane, alabarde, picche, alquanti archibugi e molte rotelle. Calò ed accostossi allo squadrone in modo che vide distintamente le bandiere, poté giudicare dei colori e notare le imprese che portavano. In una, singolarmente di raso bianco, la quale sventolava sopra uno stendardo o gherone, stava dipinto un asino piccolo come quelli di Sardegna, col capo un po' alzato, colla bocca aperta e colla lingua al di fuori, in atto e positura come se stesse ragliando, ed all'intorno era scritto a caratteri maiuscoli il seguente motto: Non ragliarono invano i nostri due Alcadi.
Da questa insegna conobbe don Chisciotte che quella gente doveva essere del paese del raglio, e tosto ne fece motto a Sancio, dichiarandogli ciò che stava scritto su quello stendardo.
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