Dalla dolce mia nemica
Nasce un mal che punge il cuore:
E per mio maggior dolore:
Vuol ch'io 'l senta e non lo dica.
La composizione mi è sembrata una perla e la voce una mandorla dolcissima, e d'allora in poi, scorgendo in quale errore io caddi a causa di questi e di altri consimili versi, ho considerato meco stessa che dovrebbero, seguendo il consiglio di Platone, bandirsi tutti i poeti dalle buone e ben regolate repubbliche, o almanco i più scorretti nella lingua, perché scrivono canzoni non già come quelle del marchese di Mantova, che incantano o fanno piangere i fanciulli e le donne, ma sì bene certe acutezze che a foggia di blande spine trapassano l'anima, e la feriscono come saette, lasciando intatto il vestito, e un'altra volta cantò:
Morte vieni sì celataCh'io non senta il tuo venir,
Onde il gusto del morirNon mi torni a vita odiata.
Ed altri versi e strambotti di questa tempera, che cantati incantano, e scritti avvelenano. E che dirò poi quando si applicava a comporre un genere di versi che in Candaia si usava a quei tempi, e che dai poeti erano chiamati Seghidiglie? Oh come balzavano i cuori di gioia, le risa abbondavano, nasceva uno sconvolgimento nei corpi come se fossero stati posti nell'argento vivo! E perciò dico, o signori miei, che tali compositori dovrebbero con giusto titolo essere rilegati nelle isole di Ramarri. Ma la colpa non è no dei poeti, ma di questi semplici uomini che li celebrano, e delle sciocche donne che loro credono: se io fossi stata quella buona matrona che doveva essere, sarebbero riusciti inefficaci per me tanto elucubrati concetti, né avrei creduti veri quei detti: vivo morendo, ardo nel gelo, tremo nel fuoco, spero senza speranza, vado e resto, con altri impossibili di questa natura, dei quali i loro scritti sono pieni zeppi.
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