- Rendo al cielo infinite grazie, o amico Sancio, che a te sia venuta incontro la buona fortuna, primaché a me sia riuscito di abbattermi in qualche propizia ventura; mentre io che ti avevo assegnato la mercede dei tuoi servigi, non ho appena principiato a fare acquisti di qualche entità, tu innanzi tempo, e quasi contro le leggi di un giusto raziocinio, ti vedi ora portato al colmo dei tuoi voti: ma il mondo è così fatto, poiché altri subornano, importunano, sollecitano, sbalzano dal letto prima del dì, insistono, perfidiano, né ottengono mai quanto vogliono; e viene uno, ed eccoti che, senza sapere come, né da qual parte, si trova di avere conseguito quel posto cui inutilmente aspirarono persone più meritevoli. E qui cade proprio in acconcio il dire che nelle concorrenze molto influisce la buona o la cattiva fortuna: tu che al confronto mio sei sì baggeo, tu che dormi come un tasso, tu che non usi mai le arti fine e la destrezza, coll'alito solo della errante cavalleria, e senza punto fantasticare ti vedi fatto governatore di un'isola, come se fosse una bagatella. Dico tutto questo, Sancio mio, perché tu non attribuisca ai tuoi meriti la ricevuta mercede, ma ringrazii Iddio che sì bene ha disposto le cose, e sii sempre obbligato alla grandezza della errante cavalleria. Disposto dunque che io ti abbia ora il cuore a prestar fede a quanto ti ho detto, sta attento, o figliuolo, ad un Catone mio pari, che vuole consigliarti ed esserti guida e stella per incamminarti e condurti al sicuro porto dell'oceano procelloso in cui ora ti metti; mentre gli offizi e le grandi cariche altro non sono che un golfo profondo di confusioni.
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