- In fede mia, replicò don Chisciotte, che per queste sole ultime tue parole io giudico che ti calzerebbe bene anche il governo di mille isole: tu mostri buon giudizio, senza il quale non vi ha scienza che valga; raccomandati dunque a Dio, e cerca di non andare errato nella prima intenzione; m'intendo dire che tu mantenga fermo proposito di battere il sentiero della bontà e della rettitudine in ogni negozio che dovrai trattare: il Cielo aiuta sempre un buon desiderio. Andiamo a pranzo, ch'io credo che questi signori ci stiano aspettando.»
CAPITOLO XLIV
SANCIO PANCIA È CONDOTTO AL GOVERNO. -
STRANA AVVENTURA ACCADUTA A DON CHISCIOTTE.
Cid Hamete, per quanto si dice nel genuino originale di questa opera, dovendo scrivere il presente capitolo, lo cominciò con un esordio che l'interprete non tradusse con scrupolosa fedeltà. Perocché lo scrittore Moro duolsi in quell'esordio di avere posto mano ad un'istoria arida e limitata come si è questa di don Chisciotte, in cui continuamente si parla di lui e di Sancio, senza osar di estendersi ad altre digressioni od episodi più gravi e più dilettevoli. Diceva egli che occupare mai sempre l'intelletto, la mano e la penna a scrivere di un solo soggetto, e a parlare colla bocca di poche persone, era un'intollerabile fatica, il cui frutto non ridondava in vantaggio dell'autore. Diceva in oltre che per sottrarsi da questo inconveniente si era valso nella prima Parte dell'artifizio d'inserire alcune Novelle, come furono quelle del Curioso impertinente e del Capitano schiavo, che sono in certo modo separate dalla istoria, essendoché le altre che vi si raccontano, son casi successi al medesimo don Chisciotte, sicché non si potea tralasciare di notarli.
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