Ma d'altra parte pensò, come asserisce egli stesso, che trasportati molti dall'attenzione che esigono le prodezze di don Chisciotte, non sarebbero stati in grado di prestarla alle novellette, ma che le avrebbero scorse o all'infretta o con noia senza por mente alla vaghezza ed all'artifizio che in sé contengono, il quale scopertamente si mostrerebbe quando fossero escite alla luce staccate del tutto dalle pazzie di don Chisciotte e dalle balordaggini di Sancio Pancia. Per questi motivi il citato autore in questa seconda Parte non volle innestare Novelle sciolte né legate, ma introdusse qualche episodio nato dai successi medesimi, il che è più verisimile, e questo pure limitatamente e colle sole parole che bastano a dichiararlo. Si contenne e rinserrò negli stretti limiti della narrazione, benché possedesse abilità, sufficienza e intendimento per trattare dell'universo intero; ed è quindi dovere che non si abbia a vile la sua fatica, anzi gli si dieno lodi, non tanto per quello che scrive, quanto per quello che ha tralasciato di scrivere. Dopo questo preambolo, continua la leggenda nel modo seguente:
Don Chisciotte dopo terminato il pranzo nel giorno in cui diede i consigli a Sancio, glieli fece tenere nella stessa sera al tardi in iscritto affinché da qualcuno se li facesse leggere; non glieli avea però appena consegnati che caddero, e pervennero in mano del duca, il quale li comunicò alla duchessa, e tutti e due nuovamente stupirono della pazzia e dell'ingegno del cavaliere errante.
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