- Non ne sento alcuna, o signora, rispose don Chisciotte, perché potrei giurare che in vita mia non ho cavalcato bestia più tranquilla né di miglior passo di Clavilegno; né so concepire quale causa abbia indotto Malambruno a privarsi di sì leggera e buona cavalcatura abbruciandola così male a proposito.
- Si può immaginare, replicò la duchessa, che a ciò siasi risolto siccome pentito del male fatto alla Trifaldi, alla compagnia e ad altre persone, e delle malvagità che come stregone e incantatore debbe avere commesse; e quindi abbia voluto levarsi dinanzi tutti gl'istrumenti del suo mestiere. Piacquegli d'incenerire il mezzo principale che gli dava maggior rimorso, e col quale inquietava più il mondo vagando di terra in terra; ed era Clavilegno, con le cui abbruciate ceneri e col trofeo del castello si è reso eterno il valore del gran don Chisciotte della Mancia.»
Nuovi ringraziamenti fece don Chisciotte alla duchessa, e terminato ch'ebbe di cenare, si ritirò solo nella camera senza permettere ad alcuno di entrare a servirlo: sì grande era il suo timore d'inciampare in occasioni che lo movessero e forzassero a perdere l'onesto decoro che serbava alla sua signora Dulcinea, tenendo sempre d'innanzi alla immaginazione la bontà di Amadigi, fiore e specchio degli erranti cavalieri. Si tirò dietro la porta, e spogliossi al lume di due candele di cera; ma allo scalzarsi (oh disgrazia indegna di sì grande soggetto!) scoppiarono, non già cose che screditassero la limpidezza della sua pulizia, ma intorno a due dozzine di maglie di una calzetta che rimase come un crivello.
| |
Chisciotte Clavilegno Malambruno Trifaldi Clavilegno Chisciotte Mancia Chisciotte Dulcinea Amadigi
|