- Non credere no questo, o amica Altisidora (altra voce diceva), perché la duchessa e quanti soggiornano in questa casa dormono tutti, fuorché il dominatore del tuo cuore, e lo svegliarino della tua anima; ché avendolo io sentito or ora aprire la finestra della sua stanza deve senz'altro essere desto. Canta pure o dogliosa mia, in tono basso e soave al suono della tua arpa; e se pure la duchessa ci sente, noi incolperemo il caldo che ci molesta.
- Non istà nel caldo la difficoltà, o Emerenzia, rispose Altisidora: egli è che non vorrei che il mio canto tradisse i segreti del mio cuore, e si facessero giudici miei quelli che non conoscendo quanto sia possente la forza d'amore, mi giudicherebbero forse donzella capricciosa e leggera: ma seguane che vuole, egli è meglio arrossire in viso che rimanere vittima del cordoglio:» ed in così dire cominciò a suonar un'arpa molto soavemente.
Restò don Chisciotte, ciò udendo, trasecolato, perché in quell'istante se gli presentarono alla memoria le infinite venture simili a quella, di finestre, cioè, inferriate, giardini, musiche, concerti amorosi e svenimenti da esso letti nei suoi spropositati libri di cavalleria. S'immaginò subito che qualche donzella della duchessa fosse innamorata di lui, e che l'onestà la sforzasse a tener celate le sue fiamme. Temeva di non esporsi a troppo pericolo, e propose fermamente seco medesimo di non lasciarsi vincere. Raccomandandosi dunque col più vivo del cuore e con ogni buona volontà alla sua signora Dulcinea del Toboso, stabilì di ascoltare la musica: e per far sapere ch'egli era colà, finse di stranutire; di che non poco si rallegrarono le donzelle, le quali altra cosa non desideravano che di essere udite da don Chisciotte.
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