- O io non ho facoltà, o se la ho, voglio distrutte queste case di giuoco, le quali, per quanto vado conoscendo, sono assai pregiudichevoli.
- Quella però in cui furono questi galantuomini, disse allora un notaio, non potrà farla dimettere, mentre n'è proprietario un gran signore, ed è senza paragone molto più quello che egli perde in capo all'anno che quello che egli guadagna. Vossignoria potrà mostrare la sua autorità contro i perdigiorno di vile razza plebea, ch'è quella che fa maggior danno ed è più scostumata, ma non contro le persone di grado distinto fra cui i famosi mariuoli non osano di mettere in campo le loro trame. E poiché il giuoco si è convertito in un esercizio comune, è meglio che segua nelle case ragguardevoli piuttostoché in quelle di qualche artigiano dove acchiappano l'incauto da mezzanotte in giù, e lo scorticano.
- Notaio mio, disse Sancio, molto ci sarebbe da dire su questo proposito.»
Arrivò intanto uno sgherro che conduceva legato un giovane, e disse:
- Signor governatore, costui se n'andava per la strada medesima da noi battuta; ma non iscorse appena la giustizia che voltò le spalle, e si diede a fuggir come un daino: segno ch'è qualche delinquente. Io l'ho inseguito, e se non fosse ch'egli inciampò e cadde, non l'avrei raggiunto mai più.
- E perché fuggivi tu, galantuomo? dimandò Sancio.
- Per sottrarmi, questi rispose, alle perquisizioni che suole fare la giustizia.
- Quale è la tua professione?
- Il tessitore.
- E che vai tessendo?
- Ferri di lancia, con buona licenza di vossignoria.
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Sancio Sancio
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