Mi è accaduto certo negozio per cui temo di poter incorrere nella disgrazia dei signori duchi; ma se per un lato ciò m'importa assai, dall'altro poi non m'importa niente, perché alla fine dei fini io ho a servire ai doveri della mia professione prima che soddisfare i gusti degli altri: comunemente si dice: amicus Plato, sed magis amica veritas. Ti ho detto questo in latino, perché può essere che adesso che sei governatore tu arrivi ad intenderlo. Dio ti guardi in modo che nessuno debba avere compassione dei fatti tuoi.
Il tuo amico.
DON CHISCIOTTE DELLA MANCIA.»
Con somma attenzione ascoltò Sancio la lettera, che fu celebrata e tenuta per eccellente da quanti la intesero. Egli si alzò sul fatto da tavola, e chiamato il segretario, si chiuse con lui in camera, e senza frapporre il menomo indugio, volle rispondere adeguatamente al suo signor don Chisciotte. Ordinò pertanto al segretario che senz'aggiungere o levare parola, scrivesse tutto ciò che gli detterebbe. E così fece, e la risposta è la seguente.
SANCIO PANCIAA DON CHISCIOTTE DELLA MANCIA.
«L'occupazione dei miei negozi è tanto grande, che non mi resta tempo da grattarmi la testa, né da tagliarmi le ugne, sicché le porto tanto lunghe come Dio sa. Io dico questo, o signor del mio cuore, perché vossignoria non faccia le meraviglie se prima di adesso non le ho fatto sapere alcuna cosa intorno al mio bene o male stare in questo governo, nel quale patisco più fame di quando noi andavamo insieme per le selve e per i deserti.
L'altro dì mi ha scritto il mio signor duca ch'erano entrate in quest'isola delle spie per ammazzarmi, ma sino adesso non ne ho scoperto che una sola, ed è un certo dottore salariato per ammazzare quanti governatori qua arrivano.
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