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In questa maniera lagnavasi Sancio Pancia, e l'asino lo stava ascoltando senza rispondergli, che in altro tenevalo occupato l'angustia e il dolore. Passò l'intera notte fra sì triste querele e piagnistei, e tornò poi a comparire il giorno, alla cui luce meglio conobbe Sancio essere impossibile l'uscire della caverna senza l'altrui aiuto. Cominciò a chiamare e a gridare, affinché alcuno lo udisse, ma la sue voce e le sue grida erano mandate al deserto, ché non era anima viva in quei luoghi, sicché nulla più occorse a persuaderlo che quello sarebbe il sito della sua sepoltura.
Stava l'asino col muso rivolto all'insù, e Sancio tanto fece che lo rizzò, tuttoché appena potesse reggersi; e siccome le sue bisacce avevano corso la medesima buona fortuna della caduta, così poté cavar fuori un tozzo di pane che apprestò alla povera bestia. Le andava dicendo, come se avesse potuto capirlo:
- Tutti i guai si possono sopportare, se il pane non manca»
Intanto le venne scoperta da un lato dell'antro una piccola buca; ove poteva entrare una persona chinandosi; e Sancio vi si accostò, e andando carpone vi entrò dentro. Al suo innoltrarsi vide che la buca era larga e lunga; e bene poté vederlo, perché vi penetrava un benefico raggio di sole. Vide egualmente che la buca si dilatava in altre cavità spaziose, e contento di questa scoperta, tornò dov'era l'asino, e incominciò con un sasso a staccare la terra dal pertugio; e tanto insisté nel lavorìo, che in poco tempo riuscì ad avere un luogo aperto da potervi cacciar dentro l'asino, come in fatti ve lo cacciò. Presolo poi per la cavezza, cominciò ad aggirarsi nella grotta per vedere se trovasse qualche escita, ed ora avanzavasi al buio, ora aveva qualche tenue scintilla di luce, ma sempre camminava con gran paura.
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