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      - Giuro, fu risposto, per la vita di chi più è caro a vossignoria, signor don Chisciotte, che sono io il suo scudiere Sancio Pancia, e che non sono morto in tutto il tempo di vita mia, né altro ho fatto fuorché lasciare il governo per cose e per cause che a raccontarle bisogna aver tempo. Ieri di notte sono precipitato in questa caverna, dove mi trovo col mio asino che non mi lascerà mentire, perché per più contrassegni si potrà provare ch'è qui con me.»
      Il curioso e lo strano si è che, parve proprio che fosse inteso dall'asino quello che Sancio andava dicendo, perché a quel punto si mise a ragliare sì forte, che ne rimbombò tutta la grotta.
      - Non occorre altro testimonio, disse don Chisciotte, conosco il raglio come se fosse uscito dal mio corpo, sento la tua voce, amico Sancio; aspetta che andrò al castello del duca, ch'è qua vicino, e condurrò meco chi possa cavarti fuori da queste spelonche dove i tuoi peccati ti hanno fatto precipitare.
      - Vossignoria vada, rispose Sancio, ma torni presto per amore di Dio, chè non posso stare più qui sepolto vivo, e me ne vo morendo di spasimo.»
      Lo lasciò don Chisciotte, e recossi al castello, dove narrò ai duchi l'avvenimento di Sancio Pancia, del che stupirono non poco, quantunque giudicassero ch'egli fosse caduto in una delle molte aperture che aveva quella grotta qua e là da lunghissimo tempo. Fecero portar subito e funi e canapi, e mercé l'opera di molta gente, e non senza grande fatica, cavarono fuori dalle tenebre l'asino e Sancio Pancia, a cui parve un miracolo di rivedere la luce del giorno.


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Don Chisciotte della Mancia
di Miguel de Cervantes Saavedra
Edoardo Perino
1888 pagine 1298

   





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