- E ben a ragione se le dà questo vanto, disse don Chisciotte, qualora non dovesse mettersi in dubbio per la incomparabile bellezza vostra. Ma non vogliate ora, mie signore, tenermi ozioso, perché gli obblighi della mia professione non mi permettono a verun patto di poter riposare.»
Sopraggiunse in questo un fratello di una delle due pastorelle, vestito egli pure da pastore, con leggiadria e bel garbo corrispondente al vestire delle fanciulle; ed elleno gli raccontarono che quel cavaliere con cui conferivano, non era niente manco che lo stesso valoroso don Chisciotte della Mancia e l'altro il suo scudiere Sancio, di cui aveva egli pure notizia, avendo letto la loro storia. Il galante pastore insistette pregando che don Chisciotte si recasse con lui alle sue tende; né questi seppe rifiutarsi più oltre, e si fece a seguirlo. Venne intanto il momento della caccia, ed empironsi le reti di augelli di varie specie, che nel periglio cadevano da cui tentavano di fuggire. Si adunarono in quel sito più di trenta persone, tutte bizzarramente vestite da pastori, e in un momento si divulgò all'intorno ch'erano ivi giunti don Chisciotte e il suo scudiere; di che non poca fu la contentezza, perché tutti sapevano bene le loro gesta. Passarono dopo la caccia alle tende, dove trovarono apprestate tavole con abbondanza e con isplendidezza, ed onorarono don Chisciotte, assegnandogli il primo posto; tutti lo guardavano e davano segni di ammirazione. Terminato il convito, don Chisciotte si alzò e gravemente disse: - Vogliono alcuni che la superbia sia uno dei peccati più sconci che si commettono dagli uomini: ma io sostengo che più grave è l'ingratitudine, attenendomi al detto che l'inferno è pieno d'ingrati.
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