Gli si accostò e disse:
- Non istate di tanta malavoglia, galantuomo, che non siete già caduto nelle mani di qualche crudele Osiride, ma in quelle di Rocco Ghinart, il quale seconda più gl'impulsi della compassione che quei del rigore.
- Non procede la tristezza mia, disse don Chisciotte, dall'essere caduto in tuo potere, valoroso Rocco, la cui celebrità non conosce limiti, ma n'è cagione l'essermi per soverchia trascuratezza lasciato cogliere da' tuoi soldati senza lancia, quando io era obbligato, conformemente alle leggi della cavalleria errante che professo, a vivere continuamente in attenta veglia per essere a tutte le ore la sentinella di me medesimo: perché voglio che tu sappia, o gran Rocco, che se trovato mi avessero sul mio cavallo con la lancia e con lo scudo imbracciato, non ti sarebbe riuscito sì agevole di fare che mi arrendessi; e basti il dirti ch'io sono don Chisciotte della Mancia, quegli che tutto l'orbe ha riempiuto di sue segnalate prodezze.»
Rocco Ghinart conobbe subito che l'infermità di don Chisciotte sapeva più di pazzia che di altro. Quantunque avesse udito più volte mentovare il suo nome, contuttociò non mai tenne per vere le sue bravure, né si persuase mai che in corpo d'uomo allignasse cotal umore; di maniera che si compiacque all'estremo di essersi avvenuto in lui per conoscere da vicino ciò che di lontano erasi divulgato. Gli disse dunque: - Valoroso cavaliere, non vi sdegnate, né ascrivete a nemica sorte la presente condizione vostra, perché potrebbe darsi che la vostra tôrta fortuna in questi inciampi si raddrizzasse, mentre il Cielo per i strani e non più visti rigiri, non dagli uomini immaginati, suole sollevare i caduti e arricchire i miseri.
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