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Don Chisciotte rispose:
- Se cortesia nasce da cortesia, la vostra signor cavaliere, è figlia o parente molto stretta di quella del gran Rocco: guidatemi dove meglio vi torna, che io mi uniformerò al voler vostro e con maggiore soddisfazione ancora se m'impiegherete a servirvi.»
Con espressioni non meno di queste obbliganti rispose il cavaliere, e serrandolo tutti nel mezzo, al suono dei pifferi ed allo strepito dei tamburi, si avviarono verso la città. All'entrarvi, i ragazzi, che sono più cattivi della stessa cattiveria, fecero che due di loro, arditelli e rompicolli, senza riguardo alcuno si cacciassero tra la folla, e alzando la coda del leardo e quella di Ronzinante ficcassero, sotto ad ognuna delle bestie, un mazzo di lappole. I poveri animali che sentivano i nuovi sproni, stringevano le code, ma ciò non faceva che accrescere in loro il pizzicore, in maniera che dando mille corvette fecero strammazzare i loro padroni. Don Chisciotte, tutto svergognato e affrontato andò a levare il pennacchio dalla coda della sua rozza, e Sancio l'altro del suo leardo. Volevano i compagni di don Chisciotte gastigare i ragazzi della sfacciataggine loro, ma non fu possibile, poiché si frammischiarono con mille che li seguitavano.
Tornarono alle loro cavalcature don Chisciotte e Sancio, e coll'applauso medesimo e colla musica stessa giunsero alla casa della loro guida; casa grande e maestosa, propria insomma di un ricco cavaliere. In questa casa li lasceremo per adesso, così prescrivendoci Cide Hamete.
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