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      CAPITOLO LXII
     
      DEL MALE CHE OCCASIONÒ A SANCIO LA VISITA DELLE GALERE,
      E DELLA NUOVA VENTURA DELLA BELLA MORESCA.
     
      Don Chisciotte faceva congetture continue intorno alle risposte della testa incantata, senza però che alcuna riuscisse mai a scoprirne l'artifizio, od a sospettare d'inganno, ma andavano tutte a finire nelle promesse ch'egli teneva per indubitate, del disincanto di Dulcinea. Non aggiravasi il suo pensiero che sopra tal punto, e gioiva seco medesimo nella speranza di vedere adempiuti i suoi voti. Sancio, benché abborrisse la sola idea di tornare ad essere governatore, come si è detto, avrebbe tuttavia voluto ritornare al piacere di comandare e di vedersi ubbidito: che questa è la mala conseguenza del dominio, per quanto sia di poca considerazione e da burla. Finalmente e don Chisciotte e Sancio e l'ospite don Antonio Moreno e i due amici si recarono in quella sera a vedere le galere, ed il capo della squadra li attendeva, ansioso di poter conoscere i due famosi uomini don Chisciotte e Sancio. Appena arrivarono alla marina, le galere tutte fecero tenda, suonarono i pifferi, e gettarono in acqua lo schifo, coperto di ricchi tappeti e di cuscini di velluto chermisino. All'istante che don Chisciotte vi mise il piede, la capitana sparò il cannone di corsia, e le altre galere fecero lo stesso; e al salire egli per la scala esterna venne salutato dalla ciurma tutta come si usa quando persona di grande affare entra nelle galere, dicendo: hu, hu, hu, per tre volte. Gli porse la mano il generale, che così il chiameremo, il quale era un nobilissimo cavaliere valenzano, che abbracciando don Chisciotte, gli disse:


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Don Chisciotte della Mancia
di Miguel de Cervantes Saavedra
Edoardo Perino
1888 pagine 1298

   





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