CAPITOLO LXIII
DELLA VENTURA CHE DIEDE PIÙ MOLESTIA
A DON CHISCIOTTE DI QUANTE ALTRE GLI ERANO SUCCESSE.
La moglie di don Antonio, per quanto ci narra la storia, mostrò gran contentezza in ricevere Anna Felice in casa sua, e quindi l'accolse con infinita cortesia, invaghita di quella bellezza e di quella saggezza delle quali era la moresca fornita a dovizia, di maniera che la gente della città, come a suono di campana, recavasi a vederla. Disse don Chisciotte a don Antonio, che il partito preso per ritornare a don Gregorio la libertà non lo trovava buono, avendo più del pericoloso che del conveniente, e che il meglio sarebbe stato che avessero fatto sbarcare lui stesso in Barberia colle sue armi e col suo Ronzinante, ch'egli tratto ne lo avrebbe a dispetto di tutta la Morea, come fatto aveva don Gaiféro della sposa sua Melisendra.
- Si ricordi la signoria vostra, disse Sancio, udendo questa offerta, che il signor don Gaiféro cavò la sua sposa da terraferma e la portò in Francia per terraferma, ma nel caso presente, riuscendo anche di liberare don Gregorio, non sapremmo come condurlo in Ispagna, essendovi il mare di mezzo.
- A tutto si rimedia dalla morte in fuori, don Chisciotte rispose; mentre giunto che fosse l'imbarco alla marina, noi potremmo entrarvi se anche tutto il mondo ce lo impedisse.
- Vossignoria fa tutto agevole e si dipinge ogni cosa bella e compiuta, replicò Sancio, ma dal detto al fatto corre un gran tratto, ed io mi attengo al consiglio del rinnegato che mi è parso uomo dabbene e di assai buone viscere.
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