Il gran numero, il grugnire e la prestezza con cui arrivarono quegl'immondi animali, produssero estrema confusione, gittando sottosopra la bardella, le armi, il leardo, Ronzinante, Sancio e don Chisciotte. Si rizzò Sancio alla meglio, ed infuriato dimandò la spada al padrone, dicendogli che voleva ammazzare una dozzina di quei signori e malcreati porci, che già li aveva benissimo conosciuti. Don Chisciotte gli disse:
- Lasciali andare, amico, che questo affronto è pena del mio peccato, ed è giusto castigo del Cielo che un cavaliere errante abbattuto sia mangiato dal gavocciolo, punto dalle vespe, calpestato dai porci.
- Deve pure, Sancio rispose, essere castigo del Cielo che gli scudieri dei vinti cavalieri erranti siano dalle mosche punzecchiati, mangiati dagl'insetti e investiti dalla fame? Se gli scudieri fossero figliuoli dei cavalieri ai quali servono, o loro prossimi parenti, non ci sarebbe che dire quando li colpisse la pena dei falli sino alla quarta generazione: ma che hanno mai a fare i Pancia con i Chisciotti? Basta, torniamoci a coricare, e dormiamo il poco che rimane della notte; ché domani qualche santo ci aiuterà.
- Dormi tu, o Sancio, rispose don Chisciotte, tu che sei nato per dormire, quando io nacqui per vegliare. Nel poco di tempo che manca sino all'alba, io lascerò libero il corso ai miei pensieri, e li sfogherò in un madrigaletto, che composi stanotte nella mia fantasia senza farne teco parola.
- Pare a me, rispose Sancio, che i pensieri che possono esprimersi in versi non debbano essere molto seri, ma vossignoria versifichi pure a suo piacere, ché intanto io dormirò il meglio che potrò.»
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