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      Andava Sancio fra sé dicendo:
      - A noi tortoliti? a noi barbieri, a noi troppo fango! Eh, non mi piacciono per niente questi titoli; tira un cattivo vento a quest'aia: tutto il male viene in una volta come al cane le bastonate, e volesse Dio che fossero almeno le ultime tra tante nostre sventurate venture.»
      Don Chisciotte marciava come un uomo mezzo fuori di sé e senza cogliere nel segno, per quanti ragionamenti facesse a fine di conoscere la causa che l'esponeva a tanti oltraggi, dai quali in sostanza veniva a conchiudere ch'ei non poteva sperar nulla di bene. Pervennero quasi ad un'ora di notte in un castello, che fu conosciuto da don Chisciotte per quello del duca, da dove non era molto che aveva fatto partenza.
      - Mi aiuti il Cielo! diss'egli come l'ebbe meglio riconosciuto: che sarà mai? Non è questa la casa della cortesia e della buona creanza? Ma per i vinti il bene si converte in male e il male in peggio.»
      Entrarono nell'andito principale del castello, e lo videro preparato e disposto in maniera che si accrebbe in loro la meraviglia, e si raddoppiò la paura, come si vedrà nel capitolo seguente.
     
      CAPITOLO LXVII
     
      SI NARRA IL PIÙ RARO E IL PIÙ NUOVO SUCCESSO CHE NELL'INTERO CORSO DI QUESTA GRANDE ISTORIA AVVENUTO SIA A DON CHISCIOTTE.
     
      Gli uomini venuti a cavallo, insieme agli altri che li seguitavano a piedi, pigliando di peso e con somma prestezza Sancio e don Chisciotte li misero nell'andito, intorno a cui ardevano da circa cento torce poste sui loro candelabri; e pei corridoi dell'andito stesso stavano più di cinquecento lumi, di maniera che in onta alla notte, che mostravasi alquanto oscura, non si conosceva il mancamento del giorno.


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Don Chisciotte della Mancia
di Miguel de Cervantes Saavedra
Edoardo Perino
1888 pagine 1298

   





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