Finché non riede Altisidora al giorno
Per crudeltà di don Chisciotte uccisa,
Finché di questo incantator soggiorno
Vestita a brun la Corte si ravvisa,
E la padrona a quante dame ha intorno
Di saia e rascia appresta la divisa,
Canterò sua bellezza e il destin reo
Con miglior plettro dell'odrisio Orfeo.
E quest'officio a me, credo, non tocca
Sol mentre dura la mortal mia vita,
Ma con la lingua morta e fredda in bocca
Per te io moverò la voce ardita:
Deh! perché morte omai il suo stral non scocca.
Ché in riva a Stige, ove il destin m'invita,
Andrò di te cantando, e al suono mio
L'onda immobil starà del pigro Oblio.
- Non più, disse a tal punto uno dei due che parevano re: non più, o divino cantore, che sarebbe un procedere all'infinito il farci ora il quadro della morte e delle grazie di Altisidora senza pari; non morta già, come fassi a credere il volgo ignorante, ma viva nelle lingue della fama e nel castigo cui deve soggiacere Sancio Pancia, qua presente, per restituirla alla perduta luce. Tu dunque, o Radamanto, che meco giudice siedi nelle tenebrose caverne di Dite, giacché ti è noto quanto negl'impenetrabili destini è statuito a far rivivere questa donzella, dillo, dichiaralo qui incontanente e lo spiega, affìnché quel bene non si indugi che col suo rinascere ci facciamo a sperare.» Profferì appena tai detti Minosse, giudice e compagno di Radamanto, che rizzatosi questi in piedi, così sclamò: - Su, o ministri di questa casa, alti e bassi, grandi e piccoli, venite l'uno dopo l'altro, e si stampino da voi sul viso di Sancio ventiquattro guanciate, colla giunta di dodici pizzicotti e di sei punture di spilletto alle braccia e ai lombi, che in questa cerimonia consiste la risurrezione di Altisidora.
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