Donde viene che chi muore disperato abbia ad andare colaggiù per forza?
- A dirvi il vero, rispose Altisidora, io non dovetti morire interamente, giacché non entrai nell'inferno; ché se ciò fosse stato non ne avrei potuto uscire a patto alcuno: vero è bensì che giunsi sino alla porta dove stavano una dozzina di diavoli giocando alle pallottole, tutti in calze e giubbone, con collari guerniti di merletti e di reticelle fiamminghe, e con manichini che loro servivano di ribecchini a lattughe, dai quali uscivano quattro dita di braccia, acciocché le mani paressero più lunghe. In esse tenevano molte pallottole di fuoco, e quello che più mi fece stupire si fu che per formarle servivansi di certi libri all'apparenza pieni di vento e di borra, cosa mirabile e nuova; ma non fu questa la sola causa del mio stordimento, giacché lo fu pure il vedere che essendo proprio dei giuocatori il rallegrarsi chi vince e rattristarsi chi perde, a quel giuoco stavano tutti col grugno e brontolavano, e tutti si arrabbiavano e tutti si maledicevano.
- Di questa cosa non è da farsi alcuna maraviglia, rispose Sancio, perché i diavoli o giuochino o no, non possono essere mai contenti né quando perdono, né quando vincono.
- Così debb'essere, rispose Altisidora; ma c'è altra cosa che mi fece trasecolare, e fu che al primo balzo non rimaneva più palla sana, o almeno che fosse buona da giuocare altra volta, e così balzavano e si distruggevano qua e là i libri che era uno stupore. Ad uno di essi, nuovo e fiammante e ben legato, diedero sì terribile colpo da fargli schizzare fuora le budella, ond'è che le carte andarono disperse; e disse uno ad un altro diavolo:
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Altisidora Sancio Altisidora
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