- O Sancio benedetto! Sancio amabile! rispose don Chisciotte, oh quanto ci troveremo obbligati, Dulcinea ed io, a servirti nei giorni tutti che ci donerà il cielo di vita! Se torna Dulcinea al primiero suo essere (che non è possibile che non torni) fortuna si potrà dire la sua disgrazia, felicissima e trionfante la mia passata sconfitta. Ora pensa tu quand'è che vuoi dare principio alla disciplina, che io per abbreviarne il termine ti aggiungo dieci reali. - Quando? disse Sancio: in questa notte senza alcun fallo; e procuri vossignoria che ci troviamo in campagna a cielo scoperto, che io diserterò queste mie povere carni.»
Giunse la notte attesa da don Chisciotte colla maggiore ansietà, sembrandogli che le ruote del carro di Apollo si fossero fracassate e che si allungasse il giorno oltre l'usato; al modo appunto che accade agli innamorati, i quali non aggiustano mai la partita dei loro desiderii. Penetrarono finalmente in un albereto poco distante dalla strada maestra, dove lasciando vôta la sella e la bardella di Ronzinante e del leardo, si coricarono sulla verde erba, e cenarono della provvisione che seco portava Sancio; il quale, facendo del capestro e della cavezza del leardo una forte e pieghevole disciplina, si scostò dal suo padrone intorno a venti passi, e andò presso alcuni faggi. Don Chisciotte che lo vide andare con animo risoluto ed ardito, gli disse: - Bada, amico, di non maltrattarti soverchiamente; lascia tempo tra una frustata e l'altra, né accelerarne troppo il corso, affinché sul bel mezzo non ti venga a mancare il fiato; e voglio dire che le frustate non sieno tanto terribili che ti abbia a mancare la vita prima che si compia il numero stabilito: ma perché tu non pecchi nel troppo né nel troppo poco, io starò qui in un canto e conterò con questa corona le frustate che ti darai; ed ora il cielo ti secondi conformemente al merito della tua buona intenzione.
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