- Poiché sei in sì buona disposizione, replicò don Chisciotte, il cielo ti aiuti, e continua pure che io mi metto d'accanto.» Tornò Sancio al suo giuoco con tanto fervore, che aveva già levata la corteccia al tronco dell'albero: sì grande era la violenza con cui frustava; ed una volta con voce sonora dando una fortissima scudisciata ad un faggio, disse:
- Qua morrai, Sansone, e quanti sono con te.»
All'udire questo doglioso accento, e al colpo della strepitosa percossa volò don Chisciotte e prendendo il torto capestro che servì a Sancio per istrumento di disciplina, gli disse:
- Non permetta la sorte, o Sancio amico che per soddisfar me, tu perda una vita che deve servire per sostentare la tua moglie e i tuoi figliuoli; aspetti pure Dulcinea migliore congiuntura, che io mi conterrò nei limiti di una propinqua speranza, e attenderò che nuove forze tu riacquisti, perché abbia termine questo negozio con soddisfazione di tutti i noi.
- Poiché così piace a vossignoria, rispose Sancio, così sia alla buon'ora, e intanto mi getti il suo ferraiuolo sopra le spalle, che io sto sudando, e non vorrei raffreddarmi, ché questo è il risico in cui incappano tutti i nuovi disciplinati.»
Don Chisciotte secondò le preghiere di Sancio, e restando in farsetto, lo coprì, ed egli si addormentò sino a tanto che lo destò il sole, e poi continuarono il viaggio, il quale per allora ebbe fine in un paese ch'era di là lontano tre leghe.
Presero alloggio all'osteria, che don Chisciotte riconobbe per tale e non per castello circondato di fosse, di torri, di rastelli, con ponte levatoio; mentre dopo la sua ultima disfatta cominciava ad essere un poco più ragionevole, come ora si dirà. Si posero in una sala terrena addobbata, in vece di paramenti, con cuoi di sargie vecchie, dipinte, come si usa tra i contadini.
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