Pare che il sole avesse anticipato il suo nascere per essere testimonio di quel sagrifizio, ed alla sua luce, ripreso il cammino, padrone e scudiere ragionavano insieme sull'inganno di don Alvaro e molto lodavansi dell'aver voluto pigliare la sua dichiarazione per via di giustizia e con tutta l'autenticità.
In quel giorno, e nella notte seguente, viaggiarono senzaché accadesse loro cosa degna di essere memorata, se non fosse che Sancio diede intero compimento alla sua frustatura, di che rimase don Chisciotte soprammodo contento, ed aspettavasi già di trovare per istrada al rinascere del dì la sua Dulcinea disincantata. Infatti non si abbatteva egli in donna senza bene esaminarla per riconoscere se fosse Dulcinea del Toboso, tenendo per cosa infallibile che non avessero a riuscire mendaci le promesse di Merlino.
Con siffatti pensieri e desiderii montarono su un'altura, da dove scopersero il loro paese, alla cui vista Sancio si pose ginocchione e disse: - Spalanca gli occhi, o sospirata mia patria, e guarda che torna a te Sancio Pancia, tuo figliuolo, se non molto ricco, almanco molto bene frustato; stendi le braccia, e ricevi similmente il tuo figliuolo don Chisciotte, che se fu vinto dalle braccia altrui, torna però vincitore di sé medesimo, lo che, per quanto egli mi ha insegnato, è la vittoria più grande che possa darsi. Io porto meco danari, perché se mi sono frustato non l'ho fatto senza mio interesse.
- Pon fine a coteste stoltezze, disse don Chisciotte, ed entriamo in buon'ora nella nostra terra, dove daremo pascolo alle nostre immaginazioni e ordine alla vita pastorale che abbiamo pensato di esercitare.
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