Smontò don Chisciotte, e li abbracciò strettamente. Stavano sulla porta la serva e la nipote, le quali avevano già avuto nuova del suo arrivo e l'avevano anche data a Teresa Pancia, moglie di Sancio, la quale tutta scapigliata, in carpetta, e menando per mano Sancetta, sua figliuola, corse a vedere il marito. Scorgendo che non era sì bene assettato della persona come pensava che dovesse essere un governatore, gli disse: - Che vuol dire, marito mio, che tu torni a questa maniera? Ei mi pare di vedere un mascalzone, un pelapiedi, e tu hai più cera da disgovernato che da governatore. - Taci, taci, Teresa, rispose Sancio, che il più delle volte l'uomo pensa che sia una cosa, ed è un'altra, né sempre dove sono stanghe v'è carne secca, e andiamo a casa che ti racconterò maraviglie e ti mostrerò i denari (che importa più di tutto) guadagnati colla mia industria, e senza danno di alcuno.
Don Chisciotte, senza aspettare termini, né ore, si appartò nello stesso punto col baccelliere e col curato, e confessò loro alle brevi la sua disfatta e l'obbligo in cui era di non uscire più, durante un anno, dal suo paese; il che avrebbe eseguito con rigore, né sarebbe uscito per un minuto, a solo fine di non trasgredire alla puntualità dovutasi all'ordine dell'errante cavalleria. Raccontò poi che aveva divisato di farsi, durante quell'anno, pastore. Supplicò in fine i suoi due amici, che se non avessero avuto grandi faccende, volessero diventare compagni suoi, che già aveva pensato a tutto. Il curato gli disse: - Vorrei sapere quali saranno i nostri nomi.
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