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      Ho intrapreso un'opera vasta di osservazione, nella quale i punti d'ombra e di luce si avvicendano naturalmente, come si avvicendano nella battaglia umana, di cui tento ritrarre alcuni episodi. Quello che segue è fitto di ombre.
      Non premetto l'avvertenza per farmene scudo contro le suscettibilità pronte e ringhiose della morale borghese. Mi ci trovo indotto piuttosto, perché non si arrivi fino ad incolparmi di respingere dall'opera mia la estrinsecazione di sentimenti alti e puri, anche ridotta alle funzioni di antitesi artistica.
      Se cosí fosse, tradirei la verità per partito preso, mancando al solo scopo che mi sono prefisso.
      Pel caso, adunque, che mi tocchi qualche lettore, combattuto fra il desiderio di restarmi fedele ed i paurosi presentimenti delle mie scelleratezze, posso promettere che, procedendo insieme, non incontreremo sempre putredine.
      GAETANO CARLO CHELLIRoma, luglio 1883.
     
     
      I.
     
      Da Piazza di Ponte a Campo di Fiori, padron Gregorio Ferramonti godeva la notorietà e la considerazione di un uomo, che si ritiene quasi milionario. Aveva costruito da sé la propria fortuna. Dei vecchi lo rammentavano ancora cascherino di Toto Setoli, un fornaio al Pellegrino, che lo aveva raccolto per carità. Poi il cascherino era passato garzone di banco; poi era andato ad aprire un buco di bottega, di faccia appunto all'antico padrone. Gli rubava la clientela, dopo avergli rubato i quattrini per fargli quella figuraccia. E da quel momento, la sua barca aveva sempre avuto, come si dice, il vento in poppa.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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