Vedovo e nel fiore della salute, lo aveva preso il disgusto di un'opera destinata a morire con lui. Eransi a poco a poco dileguate certe sue fantasticherie d'altri tempi: le speranze di vedere i figli succedergli nell'industria; aumentare indefinitamente le ricchezze della famiglia; fondare una dinastia di Ferramonti fornai, padrona di far la pioggia ed il sereno nell'Arte Bianca della piazza. Gl'invidiosi ridevano, trovando che il castigo minacciato da Toto Setoli colpiva appunto da questa parte Gregorio.
In realtà egli era un padre disgraziatissimo. Mario, il suo primogenito, sciupato dalla madre, aveva sortito tutte le disposizioni possibili alla vita dello scavezzacollo. Vestiva da elegante; nuotava nei debiti; era un donnaiolo sfrenato, capace di ogni porcheria. Era stato il primo ad uscir di casa, nel Sessantotto, a ventidue anni, dopo una scena ignobile. Padron Gregorio non aveva piú avuto relazioni con lui, lasciandolo vivere una vita equivoca d'avventura. Nondimeno, per gran tempo, Mario aveva trovato il mezzo di spiluccare i quattrini del papà in collera: faceva debiti vergognosi, vere truffe da rischiarci la galera. Il fornaio pagava per risparmiare al proprio nome un tal disonore.
Gli altri due figli, Pippo e Teta, non l'avevano intesa mai cosí. Essi erano cresciuti cogli istinti dell'ambiente bottegaio, che spingono una famiglia ben provveduta a privarsi del necessario per accumulare. Fin da principio, quando Mario s'era imbrancato coi fannulloni ben vestiti del Corso, lo avevano considerato come un ladro della fortuna comune, serbandogli un rancore profondo di avari minacciati.
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