Infatti Irene, nella fiorente leggiadria dei suoi diciotto anni, era, per ciò che rifletteva la sua indole, un fiore delicato di modestia angelica, e per ciò che rifletteva la sua figura ed il suo tratto, una bellezza affascinante di signorina. I Carelli la custodivano come si custodisce un tesoro, la mandavano vestita da principessa, le procuravano ogni sorta di divertimenti onesti. Ma non c'era lingua velenosa di vipera che potesse dirla guastata da tali trattamenti. Non le si erano mai conosciuti intrigucci o passioncelle di gioventú. Forse i possibili aspiranti alle sue preferenze, pensando che il matrimonio era il solo risultato possibile di un passo decisivo verso di lei, vi rinunciavano, intimiditi da un'altra riflessione: una moglie cosí, sarebbe stata ottima con duecentomila lire di dote, e lei, figlia di trafficanti poco fortunati, non aveva un centesimo. Da parte sua, lei agiva come poche altre avrebbero agito al suo posto: non le si poteva rimproverare il minimo atto, la piú innocente civetteria per trarsi dietro i cascamorti. Sarebbe stato negare la giustizia divina il dubitare sull'avvenire suo.
Era un tipo di bruna; ma di bruna calma, senza linee capricciose, senza bagliori provocanti. Una di quelle bellezze tutte simpatia, che suscitano pensieri di voluttà miti, desideri vaghi, soavi, pieni di serenità. Soltanto i suoi occhi bruni restavano impressi talvolta: due grandi occhi profondi, che si velavano sotto le palpebre, che illanguidivano all'ombra delle ciglia lunghissime; ma che, in certi momenti d'oblio e di animazione, scintillavano di fierezza e di energia.
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Irene Carelli
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