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      Ne intuiva le nascoste energie, fino al punto d'esserne intimidito. Era una cosa incredibile: Irene non lasciava il suo fare modesto e semplice, non aveva un atto che tradisse in lei la coscienza della propria forza. Parlava colla sua voce naturale e gentile, con certe perplessità di persona non sempre sicura di sé. Ad udirla da lontano, senza distinguerne le parole, sarebbe stato impossibile imaginare quali maraviglie di criterio andava rivelando con quel suo tratto da signorina impastata per pascersi di frivolità.
      I giorni passavano cosí rapidamente. Pippo, sgomento all'idea che quei lunghi abboccamenti dovevano pur cessare prestissimo, faceva apposta l'idiota per prolungarli. Disgraziatamente, Irene sfatava un tal giuoco, colla sua pazienza ammirabile, dando certi schiarimenti brevi e precisi, che bisognava capire per forza. Allora Pippo cercò di rubare il tempo alle lezioni, assentandosi dalla bottega, mendicando argomenti estranei. Un giorno si accorse di aver trovato il fatto suo, senza averci pensato. Da un quarto d'ora la ragazza assisteva muta, ansiosa, ad un'esplosione delle segrete amarezze di lui. Ah, sí? n'era curiosa? Ebbene, lo avrebbe visto, quanta roba c'era da buttar fuori...
      Sfuggiva a Pippo la confessione dei suoi rancori di fratello e di figlio, tutto il dramma di cupidigie in lotta che aveva sgominato la famiglia Ferramonti. Non eran discorsi da farsi ad una ragazza; ma erompevano dalle labbra sfrenate di Pippo, nella concitazione di un'indole che trova alfine uno sfogo.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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