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      Allontanavasi pallido, sfatto, giurando a se stesso che non le avrebbe dato piú tale spettacolo vergognoso della propria perfidia.
      Lei non faceva nulla per trattenerlo. Ma quando si rivedevano, sapeva, con parole velate, rivolgergli certe esortazioni di buona creatura, che gli mettevano nel cuore tenerezze strane. Egli si abbandonava ad un infrollimento voluttuoso. Forse, ad intervalli, riacquistava la coscienza della propria superiorità d'uomo forte, positivo e brutale dinnanzi a quell'indole dolce e riguardosa di ragazza; ma una specie di allettamento ignoto, acuto, magnetico, lo portava a bamboleggiare lui pure in cose tenere, come un effeminato od un imbecille.
      Passò un mese; Pippo non ebbe piú nulla da imparare; mancò alle Carelli ogni scopo di restare in bottega. Una mattina la signora Rosa annunciò al giovine commerciante che il domani, lei e sua figlia, sarebbero rimaste in casa. Se ne andarono verso le due dopo mezzogiorno, l'ora di pranzo, augurandogli cordialmente mille fortune.
      Pippo ne risentí come lo stordimento di una mazzata in testa. La notte non dormí, agitato da mille pensieri. Al domani si trovò cosí solo, cosí desolato, cosí smarrito, che la bottega gli parve odiosa. Allora, subitanea, gli balenò una idea: perché non avrebbe sposato Irene Carelli?...
      Tutto gli consigliava un tal passo. A ventisette anni, padrone di negozio, egli non poteva restar celibe. Una moglie lo avrebbe aiutato, lo avrebbe posato da borghese rispettabile e serio. Poteva senza dubbio aspirare ad una dote che Irene non aveva; ma ella valeva ben piú che una dote.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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