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      Poi spariva lasciandosi dietro l'effluvio lieve di verbena che profumava le sue vesti, un fremito, una gioia, una ebbrezza sottile che penetravano uomini e cose.
      Pippo aveva voluto lui stesso l'allontanamento della giovine donna dalla bottega. Era troppo invanito di lei per soffrire di vederla al banco come una borghese qualunque. Non gli importava rinunciare all'utile di un cosí prezioso aiuto. E d'altra parte, il rinunciarvi era forse un abile tratto di previdenza e di scaltrezza. Se nella testa d'Irene frullavano dei progetti per l'avvenire, non conveniva ch'ella vi fosse distratta dalle cure del traffico.
      Egli si era appunto messo pel capo che sua moglie mulinasse dei progetti d'ambizione e di fortuna, i quali aspettavano, secondo lui, l'occasione di manifestarsi. Attribuiva alla giovane donna qualità segrete, forze ignote, che nessuno poteva sospettare, appetiti implacabili, che si acuivano sotto la vernice di quella sua dolcezza. Non dubitava punto sul successo di lei, sulla validità dei mezzi ch'ella avrebbe impiegato; al contrario, aveva una fede in lei cosí cieca, che non la interrogava neppure. Si limitava ad aspettarla all'opera, con una muta ansietà, rendendosi frattanto il suo schiavo, secondandola ciecamente, dimenticando per lei tutte le tradizioni di grettezza e di parsimonia ond'era cresciuto, assimilandosene le passioni.
      La giovine famiglia non metteva da parte un centesimo. Aveva montato un comodo quartiere in via di Torre Argentina; teneva due persone di servizio; si trattava bene negli abiti, nel vitto, nei divertimenti.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





Irene Torre Argentina