Questi simpaticoni si trovano nel commercio. Io amo il commercio. Sono impiegato perché mi ci hanno voluto i miei parenti, perché non ebbi il coraggio di dare un dispiacere a mia madre. Che volete, la va sempre cosí: un niente decide del vostro avvenire. Cose del mondo!...
Parlava lui solo, interminabilmente, impedendo agli altri di rispondergli. Aveva la sovrabbondanza di frasi e l'accento gutturale del dialetto veneto. Pippo lo ascoltava soltanto, un po' stordito, mentre Irene e Teta, sedute sullo stesso amorino, si facevano delle confidenze di donna.
Pippo pensava che il cognato poteva esser benissimo una brava persona; ma che i suoi meriti non gli toglievano un'aria d'armeggione e d'intrigante. Era anche, tutt'insieme, una figura buffa: alto, magro, cogli occhi bigi, i capelli di un rosso sbiadito, pieno di smorfie e di gesticolazioni curiose.
Ma Pippo sentiva rinascere le sue sorde diffidenze: vedeva in Paolo Furlin un uomo a lui superiore nella nascita, nell'educazione, in un cert'ordine di scaltrezze. Si persuadeva sempre piú che non era quello il tipo da rapire per amore una ragazza sul genere appunto di Teta. E lo colpiva il contegno della sorella. Lei stava intorno al marito cogli atti di una cagna domata che guaisce d'amore ed è pronta a saltare alla gola di chi le minaccia il padrone. Le aveva dunque dato a bere qualche filtro, il furbo impiegato?...
Nondimeno, Furlin era in buonissima vista, già segretario al Ministero dell'interno, a malgrado de' suoi ventisette anni.
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