- Sei molto gentile, - diss'egli, ricambiando cordialmente le gentilezze di lei. Per un breve tempo rimase un po' perplesso; cercò istintivamente, colla coda dell'occhio, Furlin. Non andò incontro al fratello ed alla sorella ritti, immobili.
- Ebbene? - esclamò l'impiegato facendosi innanzi; - siamo qui per guardarci, forse?
Spinse per le spalle Mario. Questi abbracciò Teta, piú vicina; la baciò sulle gote, e si volse al fratello che lo afferrava. Allora fu uno spettacolo scenico di tenerezza. Pippo era sincero; non poteva parlare; aveva dei grossi sospiri, dei fremiti possenti nello sfogo brutale della sua commozione.
- Infine! - proclamò Furlin, - siamo stati un mucchio di sciocchi ad aspettare tanto tempo. Certe cose fanno bene all'anima. Non è vero, Irene?
Ella era in estasi. Restava a sedere sul sofà, muta, colle mani quasi giunte, col suo sorriso d'angelo, coi suoi begli occhi vaganti nel vuoto.
- Non dimentichiamo tua moglie, - disse Mario svincolandosi dalle braccia del fratello, con un lieve principio di fastidio. Forse coglieva il lato umoristico della scena; ma gli pareva che bastasse.
- Impariamo dunque a conoscerci, cognatina, - soggiunse, sedendosi accanto ad Irene. - Non sarai punto edificata sul conto mio. Lo sai già; passo per un cattivo soggetto.
Risero, Pippo, Teta e Paolo. Ne avevano bisogno, per uscire da quel tono di tenerezze. La conversazione divenne generale; ma Furlin prese la mano sugli altri. Narrò di aver pescato Mario al caffè Roma, smarrendosi in particolarità minute.
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