La stagione perduta per gli affari pareva cullare quel pugno di attività in una molle noncuranza di oziosi. Le preoccupazioni degl'interessi materiali morivano sull'uscio del salotto, dove i sospiri e gli strepiti della città impigrita nella caldura penetravano cogli aliti snervanti di un venticello notturno. Solo fra tutti Paolo Furlin, condannato alla eterna galera del suo ufficio, poteva permettersi la libertà di sfogare i suoi dispiaceri in quel fidato rifugio dov'era compreso e consolato.
- Voialtri siete felici! - esclamava, guardando Pippo, Mario e Rinaldo Barbati, con un'invidia senza fiele: - avete i vostri affari; li curate come meglio vi piace; siete uomini liberi. Io no. Sento tutto il peso della mia schiavitú, io. Sfido! sono impiegato contro voglia, per combinazione...
Era il suo ritornello obbligato. Nondimeno si lasciò facilmente consolare fino alla pubblicazione dell'elenco ufficiale delle ricompense equestri largite per lo Statuto. Aspettava la croce con tanta sicurezza. che la sua vanagloria di funzionario lusingato gli rimproverava spesso le sue escandescenze di ribelle. Disgraziatamente, l'elenco non portò il suo nome.
Non volle creder subito alla realtà. Sperò in una omissione, che la partecipazione del decreto avrebbe riparato. E frugò nei piú segreti meandri del labirinto burocratico per appurare meglio le cose. Poi, quando non poté piú illudersi, ebbe vergogna di confessare il proprio insuccesso. Assisté un lungo mese in disparte alle conversazioni della famiglia, non domandando, anzi respingendo conforti; chiudendosi in fondo al cuore il suo livido affanno.
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