Questo sfregio scandaloso ai regolamenti in vigore, era stato possibile, perché Vaghi aveva spartito i favori di un'attrice del Quirino col commendatore Aglianč, un alto funzionario provvisto di numerosa famiglia.
Qualche volta gli ascoltatori di Furlin si guardavano fra loro. Indovinavano ch'egli aggiungeva frange ai suoi racconti e lavorava di fantasia piú del dovere. Ma non glie ne facevano carico, attribuendo le esagerazioni e le invenzioni ad un effetto dei suoi affanni e dei suoi rancori giustissimi. Del resto, tali spassionature restavano una parentesi negli argomenti di cui la parte maschile si occupava a preferenza. Non passava una serata senza che scoppiassero interminabili discussioni politiche, nelle quali Furlin, Barbati e Pippo si accapigliavano da buoni amici rissosi. Quando il funzionario aveva svelato una nuova magagna dell'amministrazione, anche le sue parole davano un pretesto per tuffarsi tutt'insieme nella corrente procellosa delle loro lotte di principio. Allora Furlin cessava d'esser compatito: diventava un gladiatore contro due opposizioni che si alleavano per combatterlo, lui, l'uomo d'ordine, il difensore convinto del potere costituito.
Rinaldo Barbati gli serbava i suoi piú neri sarcasmi di tribuno; un'ironia olimpica di tutto il viso, le cui grandi masse, le sopracciglia folte, e la gran barba fluente, facevano pensare ad una imagine di Padre Eterno. Ebbene? E poi? Pensava per caso Furlin di aver narrato qualche novitā? Aveva forse l'ingenuitā di credere che qualcuno s'illudesse che le cose potessero andare diversamente?
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