Certe sere, sul principio dell'estate, al trovare il posto già occupato da avventori piú solleciti, avevano afflitto per ore intiere il padrone del negozio ed il tavoleggiante coi loro brontolamenti di uomini furibondi, coi loro sarcasmi feroci di clienti che ne hanno piene le tasche e che meditano una diserzione in massa. Il Caffè delle Alpi aveva finito col tener nascosto il loro tavolino, per collocarlo al posto soltanto quando il primo della brigata compariva a prenderne possesso.
I quattro o cinque amici sdegnavano il resto della clientela sparsa intorno agli altri tavolini: dei gruppi allegri e chiassosi di bassi ufficiali, e poche coppie di borghesi capitate a prendere il gelato od il caffè, per caso. La vita fervida del quartiere passava senza interessarli, nei bagliori delle cento fiammelle della strada, immerse nel fumo denso e diffuso delle friggitoríe. Non la curavano, sordi allo strepito di quella promiscuità di folla plebea, alle grida, ai canti, agli scrosci di risa ed alle bestemmie; insensibili al formicolío della corrente umana irrompente dal lato di Campo di Fiori e perdentesi nel buio della piazza di Ponte, d'onde il Tevere esalava ad intervalli un'aria umidiccia e fangosa. Succedeva appena qualche volta, che uno della brigata lasciasse cadere sul turbinío un'occhiata inerte, o che l'apparizione di una coppia equivoca, od il passare rasente i muri di una femmina in cerca di avventure, strappasse loro un'osservazione mordace. Avvezzi allo spettacolo, non se ne scandalizzavano.
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