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      Ma quello che già aveva fatto, le dava il diritto di tenere alta la testa in ogni contingenza. Per esempio, non c'era lingua maledica capace di dire una sola parola che non le facesse onore nella storia del suo matrimonio con Pippo. Ella non lo aveva cercato né procurato. Non le sarebbero mancati certamente a dozzine i partiti cento volte migliori. Aveva consentito a Pippo per condiscendenza d'animo ben fatto; soprattutto, per risparmiargli di andare a picco nel traffico delle ferrarecce, in cui quella testa quadra si era gettato ad occhi chiusi. L'aveva fatta, la bella presa! Un disgraziato senza un baiocco, scacciato dal padre! In piazza s'era creduto matto Pippo, matta lei; s'era aspettato di vederli ambedue andare colle gambe all'aria insieme alla bottega, dopo sei mesi. Non la conoscevano ancora.
      Invece, lei aveva preso a dirigere il negozio e ad istradare il marito, facendone a un tratto un commerciante avveduto. Padron Gregorio poteva prendere delle informazioni: adesso, per lei, la firma di Filippo Ferramonti valeva quattrini sonanti, e la bottega a Sant'Eustacchio era un capitale da levarcisi tanto di cappello. Ecco che cosa Irene era stata capace di fare!
      Questa volta padron Gregorio non impedí alla signora Lalla di parlargli della nuora. Ascoltò sbalordito. L'apprendere la visita clandestina d'Irene in casa Frati, lo aveva scosso, lo lasciava in un turbamento profondo. Una tenerezza di vecchione sedotto penetravagli insidiosa nel cuore, facendo svaporare i suoi antichi rancori.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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