Egli arrischiava appena qualche obbiezione di cui sentiva la fiacchezza; qualche lieve ghigno sardonico, che gli tornava amaro, con un sapore d'ingiustizia. I pettegolezzi calunniosi della strada lo avevano colpito troppo duramente, perché, in quella disposizione d'animo, non potesse attribuirne una parte al male che aveva sentito dire d'Irene. Del resto, ripensandoci, non vi trovava che delle stupide malignità; dei chiacchiericci da oziosi, campati in aria. Le parole della Frati diventavano verità sacrosante, appoggiate a fatti irrefragabili. Poi, era proprio un inferno, viver solo come un cane. Questa idea si figgeva ostinata nel fantasticare vagabondo del suo pensiero sulla nuora. S'aveva dunque da creder davvero, che quella donna fosse una perla? Quasi quasi, gli veniva voglia di farne la prova. Lasciò la signora Lalla col fare distratto e preoccupato di un uomo che ha piena la testa di cose confuse.
Allora la Frati non se lo lasciò piú scappare. Lo cercava lei stessa; spingeva innanzi il marito ad aiutarla, dandogli l'imbeccata. La seduzione incalzava. Si servirono anche della bellezza d'Irene. Un angelo, che avrebbe consolato il suocero soltanto con una delle sue occhiate soavi, con uno dei suoi sorrisi pieni d'incanto, colla sua voce che andava al cuore! Quando Ferramonti parlava della nuora, ridotto a riconoscerne i meriti, vibrava nella sua voce la tentazione di un vecchio che pensa a giovani carezze. Fino allora egli aveva trattato le donne col disprezzo di un cacciatore arrabbiato della fortuna; le voluttà molli intravvedute, erano l'ignoto, il mistero; un fascino al quale non aveva armi per resistere.
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