Mostrava di amare il danaro, come deve amarlo una donna nata e vissuta nell'ambiente del traffico. Con egual candore, confessava inoltre di amare i godimenti onesti che il danaro permette. Avrebbe voluto guadagnar molto per potere accumulare e spendere in pari tempo: due piaceri che gli stupidi soltanto possono sconfessare.
Cosí, ella non ostentava un'indifferenza assurda all'idea che Ferramonti potesse dare esecuzione al progetto di diseredate i figli. Al contrario, il suo rincrescimento si manifestava con certi rabbuiamenti di espressione, con certe tristezze, con certe frasi piene di amari significati. Ma ciò si connetteva a tutto uno stato di cose ch'ella doveva subire, ed al quale erasi in realtà rassegnata. In sostanza, bisognava bene che lo riconoscesse lei pure: suo suocero non aveva torto. Forse l'odio di lui poteva ritenersi eccessivo.
Questo era il pensiero che traspariva dalle risposte vaghe ed imbarazzate della giovine donna, dalle sue affannose reticenze, quando i vecchi rancori di casa Ferramonti avvelenavano i colloqui fra suocero e nuora. Padron Gregorio dimenticava di aver chiesto ad Irene che non gli nominasse piú que' furfanti di figli; cascava lui stesso parlarne, quasi portatovi da un confronto spontaneo fra la scelleratezza del sangue suo e la bontà di quell'angel di donna. Lei supplicava il suocero di tacere, di non ucciderla di dolore; si ricusava ad ascoltarlo. S'era sua nuora, non cessava per questo d'esser moglie di Pippo e cognata di Teta e di Mario.
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