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      Infatti, quando i Furlin specialmente ebbero ben ripensato alla cosa, anatomizzando l'indole della Remedi e persuadendosi che quella donna, santa fino all'imbecillità, avrebbe necessariamente considerato come suo dovere riconciliare il vecchio Ferramonti coi figli, Irene dovette moderarne gli entusiasmi e le impazienze. Non capivano, che non conveniva affrettarsi? Dovevasi lasciare padron Gregorio libero nelle proprie risoluzioni. Un passo falso avrebbe potuto comprometter tutto.
      Frattanto la giovane donna impiegava le giornate intere in via del Pellegrino, sottraendosi alla banda, che si rodeva di non poterla seguire. Irene godeva senza dubbio delle impazienze che spasimavano e si esasperavano, la sera, intorno a lei. Dubitava ancora della riuscita! Il suocero continuava a non volerla vedere che dalla Frati, in casa di estranei! Forse la burlava, o forse agiva cosí, per poterla piú facilmente sfuggire, non appena si fosse seccato di lei. Ed ella non sapeva come entrare sul discorso della vedova Remedi. Ma perché i suoi non la consigliavano e non l'aiutavano?
      Una sera, questa raffinata tortura cessò d'incanto. Nel salotto di via Torre Argentina fremette il sospiro della vittoria. Irene annunziò che il suocero l'aveva autorizzata a cercare. Oh, egli era l'uomo migliore della terra! Che serve? Ella lo amava! lo amava!
      Non permise piú che si arrischiasse una parola ostile al padre loro. Ricadeva in pieno idillio; pigliava un'espressione da far languire di tenerezza Pippo, mentre Mario sorrideva finalmente, ed i Furlin ed i Barbati si guardavano stupiti fra loro, quasi dubbiosi che le desse di volta il cervello.


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L'eredità Ferramonti
di Gaetano Carlo Chelli
pagine 243

   





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