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- Povero Mario! - interruppe Irene: - divaghi tanto, che non sai neppur piú dove volevi riuscire. Via, sbrighiamoci! Ti ho detto che non ho tempo da perdere. Desideravo metterti in guardia. Se tu ti commuovi ai corrucci ed alle gelosie di Flaviana, e se congiurate insieme, io non vi temo. Anzi vi sfido. Ecco!
Avviluppò il cognato con una occhiata lunghissima e profonda. Le sue parole presero una lentezza appassionata.
- Solamente, tu mi procuri una ben dura esperienza. Il tuo amore non resiste alla prova di un maligno sospetto che un'altra donna ti soffia nell'anima. Del resto, lo so come tu mi hai sempre stimata!...
Parve sopraffarla un'amarezza infinita. Tacque, aspettando che Mario parlasse a sua volta. Egli era agitatissimo. Pronunciava delle frasi incoerenti, ridicole per lui stesso. Alla fine, vedendo Irene abbandonarsi piú che mai ad uno sconforto angoscioso, ebbe la risorsa dei deboli: diventò brutale.
- Vuoi costringermi a dirti ciò che avrei voluto risparmiarti? Lo sai, che la pazienza non è la mia virtú predominante.
Irene rialzò vivamente il capo, guardando Mario pallida, risoluta e sfidatrice.
- Orsú! parla!
- Come ti pare. Allora ti dirò che mio padre e Pippo insegnano come tu sai domare gli uomini. Ed io rifletto se davvero tu abbia un interesse vero, positivo, a serbarmi una sorte diversa. Sono un Ferramonti, della famiglia la cui fortuna dovrà appartenerti. A mio favore ci sarebbe soltanto il tuo capriccio, la tua debolezza, la tua passione per me. Ma non c'è dubbio, che invece di esistere realmente, tutte queste cose siano un mezzo nelle tue mani?
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